Dal 12 novembre è in libreria “Dieci minuti per uccidere” (Newton Compton editore) di Francesco Caringella, magistrato e scrittore che chiude la sua trilogia della giustizia e della verità: il primo è “Il colore del vetro” e il secondo “Non sono un assassino”, edito nel 2014, è stato finalista al premio Strega, ha vinto il prestigioso premio Roma e ha venduto più di 60.000 copie. “Come i due miei precedenti romanzi, anche questo non vuole essere solo un giallo, ma un dramma psicologico descritto, come racconta Sciascia con la tecnica del giallo. Ogni vero romanzo è un’opera universale che, attraverso pretesti narrativi e buchi della serratura psicologici, si interroga sulla natura dell’uomo. Dieci minuti per uccidere non è quindi la storia di un omicidio, ma la storia di un uomo che vede la sua vita inghiottita dagli errori, dalle distrazioni e, soprattutto, dai capricci del destino”.
Non è solo un giallo, ma è anche un giallo. Ci spiega il titolo ?
E’ un giallo anomalo. Mi è piaciuta l’idea di affrontare il mistero del delitto con l’occhio della vittima dell’ omicidio, dopo che nei precedenti romanzi ho affrontato l’universo del crimine e della giustizia con gli occhi del giudice (“Il colore del vetro”) e dell’imputato (“Non sono un assassino”).
Senza togliere al lettore il piacere della lettura cosa ci può anticipare del suo libro?
Un boato squarcia la notte. Un colpo d’arma da fuoco colpisce Antonio De Santis, spezzando le note jazz che stanno addolcendo l’aria. Dieci minuti. Questo il tempo che resta da vivere all’imprenditore. Uno spazio nullo e infinito. Il protagonista impiegherà questi seicento secondi per fare il bilancio dei suoi settant’anni di vita, per prepararsi alla morte e per scoprire l’assassino che lo guarda protetto dall’oscurità. La morte imminente diventa per l’uomo l’occasione per guardarsi indietro, interrogarsi, raccontare
Ci riuscirà?
Non posso dirlo. Posso però rivelare che fungere da detective del proprio omicidio è quasi impossibile perché, di fronte alla morte che ti aspetta impaziente,non si può possedere la lucidità e l’imparzialità necessarie per investigare.
Qual è il trucco per affascinare il lettore del giallo alla pagina e costringerlo al turn page
Avere per le mani i cinque ingredienti di un libro che incatena il lettore alla pagina: una bella storia, dei personaggi interessanti, un ritmo incalzante, una scrittura musicale e, poi, un tocco magico fa scoccare nel lettore la scintilla della curiosità e dell’immedesimazione.
Il Jazz, la letteratura, la corsa. Quanto condivide le passioni che hanno alcuni dei protagonisti ?
Ogni romanzo è autobiografico. Nelle vene di storie inventate è sempre iniettato il sangue dello scrittore. Le tre passioni hanno un fil rouge che le lega: l’imprevedibilità del viaggiare, l’incertezza dell’arrivo, l’emozione di ogni singolo attimo, la scoperta di te stesso. Il jazz si differenzia da ogni altro genere musicale perché c’è l’improvvisazione: il musicista non esegue ma crea davanti al suo spettatore. In quell’attimo c’è un patto di sangue tra i due. Per questo la colonna sonora dell’omicidio è il meraviglioso pianoforte di Thelonious Monk.
Che doveri ha lo scrittore verso il lettore ?
Non ha il dovere di essere bravo o intelligente. Non dipende da lui. Ha invece quello di essere onesto. Il lettore ti concede il suo bene più prezioso, il tempo. Devi ripagarlo con l’onestà. Non puoi scrivere libri di plastica, storie false, furbi assemblaggi di parole per fini commerciali. Hai l’obbligo di metterti a nudo, di offrire la tua umanità, di rivelare te stesso, con le tue nobiltà e, soprattutto, con le tue miserie.
Cosa ama leggere e perché?
Tutto. Kafka diceva che un buon romanzo è un colpo d’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi. In un’epoca di disintegrazione dei rapporti umani dovremmo leggere tutti molto di più per conoscerci meglio e per amare gli altri. In ogni essere umano, anche il più apparentemente insignificante, c’è una magia. La letteratura ce lo insegna.
Essere un giudice abituato a scrivere sentenze l’ha aiutata a scrivere romanzi?
Da un certo punto di vista sì, grazie alla confidenza con il foglio bianco e all’abitudine a riempirlo usando la penna. Dall’altro lato è stato un ostacolo. La scrittura giuridica è complessa e burocratica. Si analizzano tutti gli argomenti per perseguire l’ obiettivo della motivazione capace di convincere della bontà di una decisione. Ma in letteratura non bisogna persuadere, ma emozionare. E’ un obiettivo più alto, infinitamente più difficile. Servono parole semplici, un ritmo veloce, una terminologia evocativa, immaginazione. C’è bisogno di musica. Ho dovuto quindi depurarmi dalle incrostazioni e dalle pesantezza del linguaggio del giurista per diventare uno scrittore. Da quando scrivo romanzo credo di essere diventato un giudice migliore.
Perché?
Perché sono più felice. E perché ho capito che anche le sentenze devono essere romanzi. Noi giudici dobbiamo imparare a scrivere in modo più semplice. La giustizia è amministrata in nome del popolo italiano. Tutti devono capire il significato delle decisioni che vengono ogni giorno prese nelle aule di Tribunale
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